In Mozambico, come in molti altri paesi in cui vi sono state delle guerre, migliaia di mine anti-uomo sono ancora disseminate sul terreno. Della loro ricerca se ne occupa un particolare tipo di ratto africano, il crycetomys gambianus che, con un olfatto pari a quello di un cane da tartufi, viene addestrato a riconoscere l’odore della polvere da sparo e del metallo di cui sono composte le mine. La guida a filo lungo la quale questi topi giganti vengono fatti camminare assicura un'accurata perlustrazione di tutta l'area da bonificare mentre la loro leggerezza impedisce alle mine di esplodere.
Ad impiegare i roditori è Apopo, una ong belga specializzata nell’addestramento dei ratti giganti a scopi umanitari. Vengono allevati e selezionati in Tanzania, presso il centro di ricerca dell’Università di agraria “Sokoine”: qui vengono addestrati utilizzando dei premi in cibo in appositi campi minati di prova. Una volta diplomati – e si parla di poche decine di esemplari ogni anno – i ratti anti-mine vengono inviati in missione nelle aree a rischio assieme a squadre di sminatori professionisti
“È una questione di fiducia reciproca” afferma Tim Edwards, addestratore di Apopo: “Se un ratto si addentra in un’area e non trova nulla, io so che posso fare altrettanto senza pericolo per la mia vita anche perché i ratti vengono sottoposti a continui controlli del fiuto”.
Il loro impiego ha finora permesso di bonificare milioni di metri quadrati in Angola e Mozambico, dove i ratti anti-mine hanno contribuito a disinnescare oltre 15mila ordigni. Ma vengono utilizzati anche in Thailandia, Laos e Cambogia, dove Apopo sta lavorando per disseppellire l’eredità esplosiva di 30 anni di guerre civili. I topi antimine sono in grado di effettuare ricerche su 200 metri quadrati di terreno in un tempo massimo di 15/20 minuti mentre uno sminatore, su un analogo spazio, impiegherebbe circa 25 ore.
Sono oltre 90 milioni le mine antiuomo disseminate nel mondo. Ordigni che continuano a uccidere o a mutilare dalle 15 alle 30 mila persone all’anno anche a distanza di decenni.
Il Paese più colpito è l’Afghanistan, seguono nell’ordine Colombia, Angola, Myanmar, Pakistan, Siria, Cambogia Thailandia e Laos. L’Europa non è stata risparmiata: il Paese con il maggior numero di ordigni inesplosi è la Bosnia: le mine antiuomo collocate durante la guerra del 1992-1995 infestano ancora il 2% del territorio e la bonifica non sarà ultimata prima del 2025.
Dal marzo del 1999 è entrata in vigore la Convenzione di Ottawa, il trattato delle Nazioni Unite “per la proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo e relativa distruzione” in tutto il mondo. L’Italia, che è tra i firmatari, fino agli anni Novanta è stata tra i principali produttori di mine antiuomo. Trentasei Paesi, tra cui gli Stati Uniti, tuttora non vi aderiscono.
“Alcuni tra i Paesi che non hanno aderito alla Convenzione continuano a fare uso delle mine antiuomo”, spiega la Rete italiana per il Disarmo e direttore italiano della campagna contro le mine antiuomo. “Ma oggi le mine vengono utilizzate soprattutto da gruppi ribelli. Dobbiamo tenere presente che ormai assistiamo a conflitti asimmetrici, con forze spesso non riconosciute a livello governativo, che agiscono al di fuori delle convenzioni”.
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